Non ho più scritto una riga perché sono stato impegnato a resistere. A quest’ultimo anno che mi ha tolto tante cose: gli affetti, i viaggi, la libertà. Ho messo in fila le priorità ed è una conta difficile. Se chiudo gli occhi, la cosa che vorrei di più al mondo è trascorrere un’ora con una persona che è stata per me un modello di vita, per molti versi irraggiungibile. Per il cuore grande, per la dedizione al lavoro, perché solo con uno sguardo sapeva comunicare un amore incondizionato. Per la famiglia, per il lavoro, per gli amici, per tutto. Ancora oggi se guardo un salame mi viene da piangere, se bevo un buon Franciacorta penso a condividerlo, se torno da un viaggio vorrei raccontarglielo perché so che poi ci vorrebbe andare. Se penso alla mia vita vorrei che fosse come è sempre stata, e non è cosa da poco. Un’orgia di incontri e di storie raccontate e da raccontare. Uno scalo continuo. Un viaggio ininterrotto tra luoghi e persone che hanno arricchito il mio modo di sentire. Negli ultimi venti anni non mi sono fermato mai. Ho un lavoro che mi ha permesso di vedere il mondo. Non da turista, da amico. Mi mancano Londra, e New York e Tokyo e Dubai e Zanzibar e tutte le persone che hanno riempito le mie giornate, colorandole e facendomi sentire speciale. Non so perché vi racconto queste cose. Forse perché finalmente sto guarendo e ricomincio a sentirmi vivo. E ho voglia di concentrare le energie sul futuro, pensare che si può vivere decentemente anche in una bolla perché prima o poi ne usciremo. Nel frattempo, ci sono gli amici che non mi hanno mai mollato, ci sono new entry che hanno portato nuove energie nella mia vita, c’è il lavoro che è una fonte inesauribile di soddisfazioni, e ci sono questi momenti che servono a resettare tutto e a ripartire con il cuore aperto e una marcia in più. Da Parma è tutto. Non scrivo da luoghi esotici, non ho esperienze stellate da raccontare, volevo solo condividere questo stato emotivo. Perché siamo in tanti a resistere, e presto ci troveremo fuori da questa merda e torneremo a godercela insieme. Have a nice day!
Dei miei bagni esotici e dei rooftop con piscina non ve ne frega un bel niente. Ebbene sì, ho fatto una vacanza da pirla a Miami. Ho visto i trans ballare “I will survive” e i fuochi di artificio a mezzanotte a Ocean Drive, bighellonato a Key West (spendendo cifre pazzesche per vini e cocktail di dubbio profilo), mi sono anche imbarcato su una americanissima airboat a caccia di alligatori nel parco dì Everglades. Mi sono divertito? Molto. È un luogo che bisogna vedere almeno una volta nella vita? Anche no. È un giro al caldo quando in Italia fa freddo. È colore, leggerezza, spensieratezza. Ma non è L.A., non è Vegas, è una via di mezzo che va bene per tutti, un tropico prêt a porter.
Mi è piaciuta molto Little Havana: gli odori, i sapori, gli sguardi, la musica di una Cuba che ho visto ormai più di dieci anni fa. Ball & Chain mi ha entusiasmato così tanto che ci sono tornati due volte. È un bar, un ristorante, un night e un luogo di incontro per i cubani di ogni età che giocano a qualsiasi cosa, gesticolano, urlano e sprizzano vita da tutti i pori. Pazzesco. Così come il fritas cubanas, un mix tra un burger americano e le polpette della nonna, stapieno di patate fritte: una libidine ipercalorica che non ho mai provato altrove (El rey de las fritas è l’indirizzo da non mancare). E ora sono qui, su questo fottuto volo Miami-Londra che mi ha fatto penare assai. Ieri sera ci siamo accorti che il check-in si è aperto solo per me. Semplicemente qualcuno (gli alieni?) si è preso la briga di modificare la nostra prenotazione, cancellando il ritorno di moglie e figlia. Dopo mille menate che non vi sto a raccontare, abbiamo ricomprato i biglietti. Ho urlato e mi sono fatto compatire al desk di American Airlines e poi mi sono calmato, a volte non ci sono alternative: bisogna rassegnarsi. Alla fine si renderanno conto (si parte in tre, e si torna in tre!) e ci rimborseranno, e mi sono ripromesso di non perdere energie a vuoto in questo 2020. Fine della trasmissione. Volo verso l’inverno, ma tra dieci giorni sarò sulle piste da sci. E senza prendere l’aereo… Scusate se non rileggo, ormai a leggermi siete in tre e mi sento a casa. Happy New Year!
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Fabrizio Raimondi
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Ed eccoci qui. Stessa spiaggia, stesso mare. Ho mantenuto una media di lettura pari a 100 pagine al giorno. Ho ridotto le relazioni all’osso, limitandomi a rispondere jambo, mambo, poa, al bisogno. Ho salutato con grande piacere Riccardo, le massaggiatrici della spiaggia (che sono state cacciate perché erano abusive), il cameriere del Fisherman che è il mio spacciatore di rock lobster preferito. La vita scorre lenta qui. Pole pole, sempre uguale. Non servono tante parole per scegliere una delle quattro birre al bar, uno dei tre pesci in menu, o come vuoi l’omelette a colazione. Tomato only perché cipolla e peperoni si ripropongono, that’s it. Il cielo si muove, la terra sembra più rotonda, e tutto cambia a seconda del sole e della luna. La spiaggia è borotalco e poi diventa grigia al passaggio di una nuvola, il mare è basso con le stelle marine e poi alto che se vai a Nungwi non riesci a tornare. Per capire l’ora si guarda il sole che verso le 17 è già pronto a salutare. Così si cena presto e non ci si pensa più. I miei libri sono sempre drammatici. Un amabile contrasto, tra paradiso e turbamenti di una civiltà complessa dove ci sono più birre, più pesci, dove esiste l’uovo alla Benedict, e per tutti questi motivi il vivere è più faticoso. Più ricco, più stimolante, più tutto. Ma decisamente più impegnativo. Torno al mio libro (“Il mio anno di riposo e oblio”): ho ancora due giorni per fare il pieno di bellezza e semplicità. Poi sarà di nuovo gente che si arrabbia per delle fottute mail, whatsapp notturni, interviste e scadenze e Malpensa che non manca mai. In paradiso mi annoierei a morte, lo so. Ma qualche pausa come questa serve a rimettere a posto i pezzi, e a capire che la vita (la mia) è, a tratti, bellissima, e spudoratamente surreale. Next stop: casa, e poi Dubai (sì, lo so…torno indietro…)
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Fabrizio Raimondi
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Brutto scriverlo, ma la cosa più bella della vacanza è stato NON comunicare. Abbiamo parlato solo tra noi, NON abbiamo dato confidenza a vicini di casa, turisti in transito, italiani sulla spiaggia.
Wind mi ha fatto un regalo immenso: ho esaurito i giga e “la mia offerta non permette alcun tipo di ricarica”. Il telefono è per me come un braccio: è la prima volta che mi capita. Ho gridato alla truffa e poi mi sono rassegnato. E per collegarmi ho fatto hot spot con mia moglie. Sulla spiaggia, la rete dati scollegata. A casa, il Wi-Fi che va solo sulla collinetta con le sdraio tra la pineta, gli ulivi e il mare.
Giusto lo sfizio di postare qualche cosa su Instagram, per non perdere il vizio, per carità.
E tanto non chiama nessuno, non scrive nessuno, non ci sono urgenze a Ferragosto. Ce n’è stata una, che ho gestito sull’autostrada di ritorno da Atene. Tutto filato liscio: “bravo, veloce come sempre, buon Ferragosto e ciao”.
Seconda cosa, ho letto. Ho finalmente ritrovato quel minimo di attenzione che serve per finire un libro. E sono al quarto. Non ho acceso la tv, non ho guardato le news, non ho ascoltato le mie playlist, ma canzoni greche. Intorno a casa nostra non c’è nulla. Tre chilometri per arrivare al primo mini market. Carraie, ulivi, strade dai nomi impronunziabili che portano sempre dove non c’è altro che quiete. La spiaggia che abbiamo scelto non è attrezzata. Ci portiamo due ombrelloni (!), le birre greche e le patatine per l’aperitivo. Siamo arrivati a mischiare il gin con la tonica e il rosmarino (rubato a Methoni) e il pepe (comprato a Sparta) e a metterlo in una bottiglia di plastica che avvolgiamo nel ghiaccio, fingendo di essere campeggiatori. Non siamo affatto come la gente che c’è qui, tutti super attrezzati e con la passione del green. Odio quella parte di mondo che si sente beata a contatto con la natura. E tra una settimana sarò felice di essere nel traffico a Roma, e poi a Oslo e poi chissà. E io nella borraccia ho il gin tonic, tengo a precisare.
Cosa c’è da vedere qui in Messinia, Peloponneso? Le spiagge, il mare, le taverne greche al tramonto, la gente che è semplice, e quell’atmosfera vintage che mi ricorda quando da piccolo, a Sabaudia, mangiavo la pizza rossa al mare.
Noi non abbiamo fatto le corse tra una spiaggia e l’altra: ne abbiamo scoperte quattro o cinque che abbiamo bazzicato a rotazione. Voidokilia la mattina, quando non c’è nessuno, aperitivo all’Ammothines (Mojito 10 e lode), pranzo spesso e volentieri all’Opus Palia a Petrochori (la taverna è il paese intero), pomeriggi tra i beach bar di Petrochori (dove non paghi l’ombrellone, ma la consumazione), cene romantiche con tramonto in riva al mare a Pylos e a Marathopoli (il top è Riki). Che dire del cibo? La mattina ho mangiato i fichi colti dal nostro albero, a pranzo pomodori e melanzane fino a morire (cambiano le combinazioni, ma alla fine ci sono sempre le melanzane, i pomodori, la Feta e troppa cipolla da spostare), a cena feta o octapus o squid, rigorosamente grigliati. Qui cucinare significa cuocere. Una meraviglia. No sughi, no abbinamenti, no fronzoli: solo sapori forti e semplici, buoni. Un vino di merda che ti fa passare la voglia di vivere e che arriva in caraffa come una purga da consumare prima di andare a dormire. Abbiamo fatto due gite: una all’isola di Elafonissos e l’altra a Atene.
Elafonissos ha un’acqua imbarazzante. Certi colori dovrebbero esistere solo ai Caraibi, se non altro a giustificare il prezzo dei voli. Ma è turistica, piena di gente che comincia a fare i selfie al porto, ancora prima di toccare l’isola.
Bellissimo, da cartolina, ma claustrofobico: dopo due giorni siamo stati felici di tornare a casa. E l’altra a Atene. Eravamo in spiaggia a Voidokilia, con i nostri improbabili ombrelloni e due birre infilate nella ghiacciaia a forma di bottiglia, e il capo tribù (mi piace crederci) ha deciso che non si può lasciare la Grecia – o morire – senza avere visto il Partenone. Siamo partiti con la nostra Panda bianca (!) e siamo arrivati a Atene per l’ora di cena. Una città che sprizza energia, con un sexy tocco decadente, ma anche quella voglia di restare viva nonostante i croceristi la consumino ogni giorno come una puttana da una botta e via. Abbiamo cenato su un rooftop meraviglioso (si chiama Point) guardando il Partenone negli occhi e gironzolato per la città che è davvero bella.
La mattina ci siamo incontrati con una guida turistica (prenotata il giorno prima, 100 euro) e abbiamo fatto il giro dell’Acropoli in un modo che mi ha commosso. Solo noi tre e la guida, e Emma che sapeva tutto perché lo ha studiato. Mi sono sentito grande e vecchio e vivo, tutto insieme.
Vedere l’imperfezione del Partenone mi ha riportato indietro nel tempo. Quando, a diciotto anni, ho scelto di studiare filosofia. E per quattro anni ho sentito parlare di una cosa che è vera e che si può vedere. Un po’ come andare a Hollywood a vedere il set di Desperate Hosewives.
Ora vi lascio, torno al mio ultimo giorno di mare. Per chi volesse fare un giro da queste parti, io ho dormito a Tragana, più precisamente a Traganitsa (è su Booking, ma non dicono che la colazione a base di fichi è compresa). Portatevi ombrellone resistente (qui, si vola!) e ghiacciaia, ma non metteteci l’acqua…per carità!
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Fabrizio Raimondi
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Ho avuto una giornata davvero difficile. È stato un crescendo. Nonostante tutto, Madrid è stata la mai compagna di sventura. Ed è stato bello viverla lavorando, imprecando, scrivendo testi al telefono come se non ci fosse un domani, gesticolando, specificando, pesando le parole come se fossero polvere d’oro. Ho visto il barocco madrileno come sfondo di questa interminabile giornata, digitando nervosamente sulla tastiera di questo iPhone che si è ormai consumata. Ho fatto la marcha con una nuova collega madrilena che mi ha fatto visitare il suo quartiere, sorseggiando una cãna dietro l’altra e conversando come se fossimo amici da una vita. Non ho visto il Palacio Real, non ho passeggiato al Parque del Buen Ritiro. Ho partecipato a un evento su un rooftop non so bene dove, in compagnia di colleghi spagnoli che hanno organizzato un fantastico barbecue con vista. In un terrazzo che si chiama The Hat, parlando uno spagnolo che non so, giustificando la mia presenza come “quello che viene dall’Italia perché è un nuovo cliente dell’agenzia”. E ho capito perché si dice: “Se sei a Madrid, sei di Madrid”. Non ho visto un granché: è vero che è tutto un brulicare, è vero che la gente è aperta, è vero che c’è una parte nuova che è trendy e una più vera che ti fa sentire a casa. Fatto sta che ogni volta che dovrò affrontare una giornata complicata, penserò a Madrid. C’è chi il surreale lo sa cogliere al volo, qui sembra che siano tutti così, che ci sia una sorta di empatia nell’aria. Born this way!
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Fabrizio Raimondi
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Svegliarsi alle 03.50, indossare la felpa sbrindellata da aereo, guidare fino a Bologna, prendere il volo delle 06.50 per Madrid: missione compiuta.
Iberia non ha avuto il buon gusto di inviare una mail per comunicare che – causa sciopero – il mio volo (comodo, a mezzogiorno!) è stato cancellato e il viaggio “anticipato” di 6 ore. La sorpresa è arrivata ieri sera, al momento del check in online: avevo giusto voglia di sentire la sveglia ululare nel cuore della notte. Vediamola dal verso giusto. Avrò il piacere di bighellonare una giornata intera in una città che conosco pochissimo. Non faccio altro che leggere che Madrid “brulica”, “seduce”, “conquista”. Che è mille volte più di Barcellona, città che adoro e che ho bazzicato senza alcuna moderazione.
Sarà che a Madrid ci sono stato solo mezza giornata (e sono passati ormai quindici anni), ma io ricordo solo stradoni enormi e privi di particolare attrattiva. Non era notte (ma di giorno cosa si fa?) e avevo una decina di ore di fuso orario sul groppone che probabilmente mi hanno impedito di coglierne l’inestinguibile energia. A proposito, chi scrive queste parole sul web, una dietro l’altra, senza cognizione di causa, dovrebbe essere spedito a forza a fare l’inviato in Molise. Gente che scrive che “bisogna immergersi”, che “bisogna perdersi”, che bisogna “vivere come uno del posto”. Si stava meglio quando c’era la “splendida cornice”, ecco.
Sono certo che “la città della gente che sa godersi la vita” mi stupirà e mi regalerà elettrizzanti vibrazioni anche se ieri notte ho dormito ben quattro ore. Farò un giro al Prado (mica si può crepare senza vedere Goya!) e ho voglia di provare le tapas stellate dell’Estado Puro e diventare uno del posto, magari ballando un tango, chissà!
Sono ancora scioccato dal servizio di Report di ieri sera. Se fossi ancora al Consorzio del Prosciutto di Parma (sapete che è passato oltre un lustro???) oggi non mi annoierei. Non faccio che pensare a come risponderei, a chi telefonarei, cosa chiarirei. Spesso mi lamento per le sveglie e per gli aerei e lo stress, ma credo che non potrei fare altro lavoro al mondo. C’è un modo di vedere le cose che è patologico: comunicare è un piacere, ma è anche una malattia, un pensiero che non si spegne mai. Mentre Mina canta la sua versione di “Il tempo di morire” cominciamo a scendere. Il cielo è blu, magari è la volta che incontro il sole. E tutto brulica, scintilla, freme… Questa è Madrid, bellezza!
[non rileggo, mi sa che la forma lascia a desiderare…godete delle positive vibrations!]
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Fabrizio Raimondi
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È la prima volta che al gate mi dicono: “Happy birthday”: ho trovato il modo di allungare il mio compleanno di tre ore per ricevere qualche attenzione in più. Il solito egocentrico. Sono sul volo Emirates Dubai-Bologna delle ore 09.05. Questi quattro giorni sono stati ricchi e generosi. Ho partecipato al programma radiofonico più seguito negli Emirati Arabi (The Business Breakfast on Dubai Eye), ho incontrato il celebrity chef Mohammad Orfali, ho visitato Gulfood, incontrato giornalisti che ho conosciuto in Italia, fatto un salto a Abu Dhabi e vissuto esperienze gourmet indimenticabili (3 fils è un nome che rimarrà scolpito nel mio stomaco per l’eternità). Dubai è più di New York (l’ho sparata grossa). È la City col sole e col mare. È il lusso sfrenato. Il futuro. Il suono di mille lingue diverse insieme. I rooftop con la vista sulla Torre più alta del mondo. Gli spettacoli di luci e suoni e colori. Le camere gigantesche e pazzesche. Il servizio ineccepibile. Le contraddizioni di un popolo che può godere di un drink solo sulle terrazze degli hotel. Leggerezza, divertimento, bellezza prêt à porter: tutto ciò che può apprezzare un uomo che si appresta alla mezza età. Torno a casa felice: festeggerò il compleanno nella mia città di provincia con moglie e figlia che conoscono (e apprezzano) la mia voglia di fuggire nelle metropoli per poi tornare a casa con un sorriso in più. Happy birthday to me! Arigatò Fabrizio
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Fabrizio Raimondi
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Sveglia ore 4.45, aeroporto di Vienna.
Come mi ha fatto notare la mia (“esterissima”) amica Fernanda, divento ogni giorno più crucco. Questi quattro giorni me li sono proprio goduti. Il capodanno a Vienna è stata un’esperienza totalizzante. Dal Municipio al Prater, chilometri di feste, luci sfavillanti, musica, valzer e altre amenità. Ho ballato (se così si può dire) nelle piazze, mi sono ucciso di cotolette, ho pattinato sul ghiaccio a Rathausplatz, ho nuotato alle terme di Vienna, correndo in mezzo alla neve da una vasca all’altra, sorseggiando improbabili drink con il corpo a quaranta gradi e la testa sotto zero. O la Germania e l’Austria stanno facendo passi da gigante, oppure sono io che, con la mezza età, comincio ad apprezzare questa atmosfera crucca. E a rilassarmi tra un würstel e l’altro, tra una Sacher e i “prosecchini” austriaci che non sono affatto male. Che dire dei musei? Ho lasciato il cuore all’Albertina e al Belvedere. Il bacio di Munch e quello di Klimt, da soli, valgono il viaggio. Il resto ve lo racconterò altrove. Perché Vienna non è solo castelli della principessa Sissi, carrozze e torte Sacher: è una città in fermento, con un quartiere che sforna nuove tendenze e un panorama culinario davvero interessante.
Tra le novità del 2019, un mio spazio su Touring, una rubrica dove vi racconterò le mie gite come faccio qui. Con la stessa libertà, lo stesso tono da viaggiatore scazzato che scrive i suoi appunti di viaggio. Il nome della rubrica è bellissimo, anche se non l’ho scelto io. Come il nome dell’agenzia, ormai è una tradizione… Saluti e baci, imbarco immediato.
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Fabrizio Raimondi
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Non c’è nulla di più POP della fine dell’anno. Perché la gente fa buoni propositi, ringrazia amici, parenti o Dio (sta tornando di moda, ve ne siete accorti?) o urla che è contenta di togliersi dal cazzo il vecchio anno. Come se voltare pagina fosse una questione di calendario. Io non sono capace di fare bilanci: di solito stilo classifiche che servono più che altro a me, per ripescare i nomi dei ristoranti dove sono andato a mangiare. Sono egoista anche nelle top ten, se non altro sono coerente.
Sto andando a Vienna. Non ci sono mai stato: è una città così romantica che ho paura che mi venga la nausea come a Parigi. Ma non si può crepare senza avere visto Vienna, e sono felice di andarci. Arriveremo nel pomeriggio, festeggeremo il nuovo anno per strada, come se niente fosse. Quest’anno è stato ricchissimo. Di viaggi, esperienze e incontri. Di persone che non mi stancherò mai di vedere, soddisfazioni professionali (tantissime!), emozionanti rimpatriate che mi hanno scaldato il cuore. Questo sarà l’anno dei 45. Febbraio è dietro l’angolo e io ancora mi sento lo stronzo che ero a 16 anni. Quello che perde le staffe, che si innamora di un gesto, un luogo, un principio. E poi cambia idea, prospettiva, umore. Sempre. Non posso che augurare a tutti di stare sempre con un piede fuori dalla propria comfort zone perché è là che vengono fuori le cose migliori. Io ci sono quasi sempre. Grazie a Dio non ho ancora trovato un mio posto “comodo”, e allora continuo a saltare da un luogo all’altro per essere certo che ci sia sempre un altrove. Auguri a tutti, anche a quelli che non vedo, non sento, non parlo. La vita è spietata: non c’è un secondo tempo. E non c’è neanche un intervallo per andare a fumare una sigaretta. Che non va più di moda nemmeno quello, per carità. Godiamoci questo tempo. E, come sempre, sfondiamoci di bollicine, che la vita è troppo breve per perdere tempo col vino fermo. Arigatò!
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Fabrizio Raimondi
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Sono sul volo Alitalia Tokyo-Malpensa, ho consumato 7:05 ore di volo e me ne mancano 5. Trascorrere quattro giorni a Tokyo è stato pazzesco. Nonostante io abbia bazzicato la città più volte, è sempre un luogo che sorprende, stupisce e inquieta. Bello andarci con chi non ci è mai stato perché si rivivono gli imbarazzi, le perplessità e le paturnie della prima volta.
Gli incroci che sembrano formicai, il suono prolungato dell’arigatò, il cinguettio sintetico in metropolitana, lo sguardo vuoto dei businessman che hanno imparato a dormire in piedi, il lusso sfrenato di Omotesando, il “basic” etnico dei ristorantini di ramen che punteggiano la metropoli, le gonnelline imbarazzanti delle studentesse con le gambe a X. Lavorare con i giapponesi è come andare su Marte, con la consapevolezza di fare un bel volo e di capire meno della metà di quello che succede. E tornare a casa con la convinzione che le pubbliche relazioni siano la chiave per capire il mondo. Just to clarify, durante il press lunch, ho mangiato in un tavolo a parte (NON con la stampa) per non offendere nessuno. Assegnare un posto a fianco di una testata anziché di un’altra è una scelta che un giapponese non può fare. Così come ha sorpreso tutti che la chef fosse una giovane donna italiana. Tutti i giornalisti le hanno chiesto se ha già un ristorante a Tokyo, e sottolineato che qui una donna farebbe molto successo. Per il resto che dire? Ho mangiato – come sempre – da Dio (con alcune scoperte interessanti che spero di avere presto occasione di raccontare altrove), ho comprato una marea di stronzate per mia figlia, ho goduto dei rooftop più belli della città, ho apprezzato la cortesia dei giapponesi e sorriso della loro incapacità di vivere senza regole. Avrei tanto altro da dire, ma i miei occhi cominciano a chiudersi, l’Europa è ancora lontana e mi sa che un pisolino me lo faccio… Have a nice day, arigatò!
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Fabrizio Raimondi
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