Sono sul volo Alitalia Tokyo-Malpensa, ho consumato 7:05 ore di volo e me ne mancano 5. Trascorrere quattro giorni a Tokyo è stato pazzesco. Nonostante io abbia bazzicato la città più volte, è sempre un luogo che sorprende, stupisce e inquieta. Bello andarci con chi non ci è mai stato perché si rivivono gli imbarazzi, le perplessità e le paturnie della prima volta.
Gli incroci che sembrano formicai, il suono prolungato dell’arigatò, il cinguettio sintetico in metropolitana, lo sguardo vuoto dei businessman che hanno imparato a dormire in piedi, il lusso sfrenato di Omotesando, il “basic” etnico dei ristorantini di ramen che punteggiano la metropoli, le gonnelline imbarazzanti delle studentesse con le gambe a X. Lavorare con i giapponesi è come andare su Marte, con la consapevolezza di fare un bel volo e di capire meno della metà di quello che succede. E tornare a casa con la convinzione che le pubbliche relazioni siano la chiave per capire il mondo. Just to clarify, durante il press lunch, ho mangiato in un tavolo a parte (NON con la stampa) per non offendere nessuno. Assegnare un posto a fianco di una testata anziché di un’altra è una scelta che un giapponese non può fare. Così come ha sorpreso tutti che la chef fosse una giovane donna italiana. Tutti i giornalisti le hanno chiesto se ha già un ristorante a Tokyo, e sottolineato che qui una donna farebbe molto successo. Per il resto che dire? Ho mangiato – come sempre – da Dio (con alcune scoperte interessanti che spero di avere presto occasione di raccontare altrove), ho comprato una marea di stronzate per mia figlia, ho goduto dei rooftop più belli della città, ho apprezzato la cortesia dei giapponesi e sorriso della loro incapacità di vivere senza regole. Avrei tanto altro da dire, ma i miei occhi cominciano a chiudersi, l’Europa è ancora lontana e mi sa che un pisolino me lo faccio… Have a nice day, arigatò!
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Fabrizio Raimondi
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