Brutto scriverlo, ma la cosa più bella della vacanza è stato NON comunicare. Abbiamo parlato solo tra noi, NON abbiamo dato confidenza a vicini di casa, turisti in transito, italiani sulla spiaggia.
Wind mi ha fatto un regalo immenso: ho esaurito i giga e “la mia offerta non permette alcun tipo di ricarica”. Il telefono è per me come un braccio: è la prima volta che mi capita. Ho gridato alla truffa e poi mi sono rassegnato. E per collegarmi ho fatto hot spot con mia moglie. Sulla spiaggia, la rete dati scollegata. A casa, il Wi-Fi che va solo sulla collinetta con le sdraio tra la pineta, gli ulivi e il mare.
Giusto lo sfizio di postare qualche cosa su Instagram, per non perdere il vizio, per carità.
E tanto non chiama nessuno, non scrive nessuno, non ci sono urgenze a Ferragosto. Ce n’è stata una, che ho gestito sull’autostrada di ritorno da Atene. Tutto filato liscio: “bravo, veloce come sempre, buon Ferragosto e ciao”.
Seconda cosa, ho letto. Ho finalmente ritrovato quel minimo di attenzione che serve per finire un libro. E sono al quarto. Non ho acceso la tv, non ho guardato le news, non ho ascoltato le mie playlist, ma canzoni greche. Intorno a casa nostra non c’è nulla. Tre chilometri per arrivare al primo mini market. Carraie, ulivi, strade dai nomi impronunziabili che portano sempre dove non c’è altro che quiete. La spiaggia che abbiamo scelto non è attrezzata. Ci portiamo due ombrelloni (!), le birre greche e le patatine per l’aperitivo. Siamo arrivati a mischiare il gin con la tonica e il rosmarino (rubato a Methoni) e il pepe (comprato a Sparta) e a metterlo in una bottiglia di plastica che avvolgiamo nel ghiaccio, fingendo di essere campeggiatori. Non siamo affatto come la gente che c’è qui, tutti super attrezzati e con la passione del green. Odio quella parte di mondo che si sente beata a contatto con la natura. E tra una settimana sarò felice di essere nel traffico a Roma, e poi a Oslo e poi chissà. E io nella borraccia ho il gin tonic, tengo a precisare.
Cosa c’è da vedere qui in Messinia, Peloponneso? Le spiagge, il mare, le taverne greche al tramonto, la gente che è semplice, e quell’atmosfera vintage che mi ricorda quando da piccolo, a Sabaudia, mangiavo la pizza rossa al mare.
Noi non abbiamo fatto le corse tra una spiaggia e l’altra: ne abbiamo scoperte quattro o cinque che abbiamo bazzicato a rotazione. Voidokilia la mattina, quando non c’è nessuno, aperitivo all’Ammothines (Mojito 10 e lode), pranzo spesso e volentieri all’Opus Palia a Petrochori (la taverna è il paese intero), pomeriggi tra i beach bar di Petrochori (dove non paghi l’ombrellone, ma la consumazione), cene romantiche con tramonto in riva al mare a Pylos e a Marathopoli (il top è Riki). Che dire del cibo? La mattina ho mangiato i fichi colti dal nostro albero, a pranzo pomodori e melanzane fino a morire (cambiano le combinazioni, ma alla fine ci sono sempre le melanzane, i pomodori, la Feta e troppa cipolla da spostare), a cena feta o octapus o squid, rigorosamente grigliati. Qui cucinare significa cuocere. Una meraviglia. No sughi, no abbinamenti, no fronzoli: solo sapori forti e semplici, buoni. Un vino di merda che ti fa passare la voglia di vivere e che arriva in caraffa come una purga da consumare prima di andare a dormire. Abbiamo fatto due gite: una all’isola di Elafonissos e l’altra a Atene.
Elafonissos ha un’acqua imbarazzante. Certi colori dovrebbero esistere solo ai Caraibi, se non altro a giustificare il prezzo dei voli. Ma è turistica, piena di gente che comincia a fare i selfie al porto, ancora prima di toccare l’isola.
Bellissimo, da cartolina, ma claustrofobico: dopo due giorni siamo stati felici di tornare a casa. E l’altra a Atene. Eravamo in spiaggia a Voidokilia, con i nostri improbabili ombrelloni e due birre infilate nella ghiacciaia a forma di bottiglia, e il capo tribù (mi piace crederci) ha deciso che non si può lasciare la Grecia – o morire – senza avere visto il Partenone. Siamo partiti con la nostra Panda bianca (!) e siamo arrivati a Atene per l’ora di cena. Una città che sprizza energia, con un sexy tocco decadente, ma anche quella voglia di restare viva nonostante i croceristi la consumino ogni giorno come una puttana da una botta e via. Abbiamo cenato su un rooftop meraviglioso (si chiama Point) guardando il Partenone negli occhi e gironzolato per la città che è davvero bella.
La mattina ci siamo incontrati con una guida turistica (prenotata il giorno prima, 100 euro) e abbiamo fatto il giro dell’Acropoli in un modo che mi ha commosso. Solo noi tre e la guida, e Emma che sapeva tutto perché lo ha studiato. Mi sono sentito grande e vecchio e vivo, tutto insieme.
Vedere l’imperfezione del Partenone mi ha riportato indietro nel tempo. Quando, a diciotto anni, ho scelto di studiare filosofia. E per quattro anni ho sentito parlare di una cosa che è vera e che si può vedere. Un po’ come andare a Hollywood a vedere il set di Desperate Hosewives.
Ora vi lascio, torno al mio ultimo giorno di mare. Per chi volesse fare un giro da queste parti, io ho dormito a Tragana, più precisamente a Traganitsa (è su Booking, ma non dicono che la colazione a base di fichi è compresa). Portatevi ombrellone resistente (qui, si vola!) e ghiacciaia, ma non metteteci l’acqua…per carità!
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Fabrizio Raimondi
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